Articolo 21 Non discriminazione



Indirizzo: _______________________________________________________________________

Pec: ____________________________________________________________________________

Oggetto: Osservazioni ex art. 18 legge 689/1981

Verbale di accertamento n.: ________________________________________________________

Autorità: (inserire il corpo delle forze dell’ordine che ha redatto il verbale) ________________________________________________________________________________

Interessato: (come compare sul verbale)

Nome __________________________________________________________________________

Cognome _______________________________________________________________________

Nato/a a ________________________________________________________________________

Il ______________________________________________________________________________

Residente in _____________________________________________________________________

D’ora in avanti detto “ricorrente”

Codice fiscale: ___________________________________________________________________

 

Contestazioni: Violazione dell’obbligo in capo ai clienti ed utenti delle seguenti attività [barrare quella di interesse] di esibire il certificato verde Covid-19 (d’ora in avanti anche “marchio verde”):

□ servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio, di cui all’articolo 4, per il consumo al tavolo, al chiuso;

□ spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi;

□ musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre;

□ piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche all’interno di strutture ricettive, di cui all’articolo 6, limitatamente alle attività al chiuso;

□ sagre e fiere, convegni e congressi;

□ centri termali, parchi tematici e di divertimento;

□ centri culturali, centri sociali e ricreativi;

□ attività di sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò;

□ aeromobili adibiti a servizi commerciali di trasporto di persone;

□ navi e traghetti adibiti a servizi di trasporto interregionale;

□ treni impiegati nei servizi di trasporto ferroviario passeggeri di tipo Intercity, Intercity Notte e Alta Velocità;

□ autobus adibiti a servizi di trasporto di persone, ad offerta indifferenziata, effettuati su strada in modo continuativo o periodico su un percorso che collega più di due regioni ed aventi itinerari, orari, frequenze e prezzi prestabiliti;

□ autobus adibiti a servizi di noleggio con conducente, ad esclusione di quelli impiegati nei servizi aggiuntivi di trasporto pubblico locale e regionale.

 

*.*.*.*

(Inserire qui una breve descrizione dei fatti, dell’occasione in cui è stato redatto il verbale, con l’aggiunta di tutte le circostanze che potrebbero essere di rilievo, ad esempio: i verbalizzanti rifiutavano di declinare le proprie generalità, entravano nel locale contro il divieto del gestore o simili).

Il ricorrente chiede annullarsi il verbale sopra menzionato e disporsi l’archiviazione del procedimento sanzionatorio e chiede di essere sentito.

MOTIVI

1. Le norme poste alla base della sanzione amministrativa accessoria comminata sono costituzionalmente illegittime e comunque inapplicabili nell’ordinamento della Repubblica Italiana per contrasto con le superiori norme dell’ordinamento dell’Unione Europea. Pertanto, il Prefetto deve disapplicare il decreto-legge n. 52/2021, il decreto-legge n. 105/2021, il decreto-legge 111/2021 e le relative leggi di conversione nonché il DPCM del 17.06.2021.

2. Violazione della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (artt. 15 e 16)

3. La legge fondamentale che disciplina l’attività di prestazione di servizi è il d.lgs. n. 56 del 26 marzo 2010 le cui disposizioni sono state violate dall’art. 37 del DPCM del 2.03.2021.

4. Infatti, sono subordinate alla previa notifica alla Commissione europea secondo il disposto dell’art. 13 talune restrizioni indicate dall’art. 12, comma 1, lettere a) e d) del d.lgs. 59/2010. Si tratta, in particolare, delle restrizioni quantitative all’esercizio dell’attività di prestazione dei servizi (come nel caso delle chiusure in determinati orari e nella limitazione quantitativa dello spazio utilizzabile dei locali) e, soprattutto, delle disposizioni che riservano l’accesso alle attività di servizi in questione a prestatori particolari a motivo della natura specifica dell’attività esercitata. La disciplina discriminatoria tra diversi prestatori di servizi – non è stata notificata alla Commissione con la sua conseguente inefficacia ai sensi dell’art. 15 della Direttiva 2006/123/CE. Come noto, il comma 7 dell’art. 15 prevede che gli Stati membri notifichino alla Commissione, in fase di progetto, le nuove disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che incidano, tra le altre, sulle restrizioni quantitative e che introducano disposizioni discriminatorie e prive del requisito della proporzionalità. Nel caso che ne occupa, anche un esame sommario delle disposizioni contestate dimostra come ci sia una manifesta discriminazione tra prestatori di servizi con il blocco di alcune attività e la continuazione di altre. Ai sensi del comma 3 del citato art. 15, le restrizioni che lo stato membro intenda introdurre devono rispettare il principio di proporzionalità e pertanto “non deve essere possibile sostituire questi requisiti con altre misure meno restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato”.

5. Inoltre, il marchio verde o Green Pass è illegale e illegittimo sotto altri profili:

· esso obbliga al vaccino o all’effettuazione di un tampone ogni 48 ore. Ciò è illegale in base alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che all’art. 3 dispone: “Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge.”

· Il Regolamento CE 953/2021 stabilisce al “considerando” 36 che “È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l'opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. Pertanto, il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l'uso di uno specifico vaccino anti COVID-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l'esercizio del diritto di libera circolazione o per l'utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati.

· Le norme europee prevalgono su quelle nazionali. Infatti, l’art. 9 del decreto-legge 52/2021 (come modificato dall'articolo 4 DL 105/2021), che introduce il “green pass” prevede espressamente l’applicabilità delle norme italiane solo se compatibili con il Regolamento CE 953/2021. Pertanto, il “green pass” è FACOLTATIVO anche per espressa volontà del legislatore italiano.

· Il Consiglio d’Europa con la risoluzione n. 2631 del 27 gennaio 2021 ha disposto: “L’assemblea invita gli stati membri e l’Unione Europea ad assicurare: - che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno può essere sottoposto ad una pressione politica, sociale o di altro genere affinché si vaccini se non desidera di farlo; - che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato a causa di possibili pericoli per la salute o perché non vuole farsi vaccinare.

· La Costituzione italiana vieta la discriminazione. Infatti, l’art. 3 dispone: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione; di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Di contro, le norme sul green pass obbligatorio per l’accesso ai ristoranti e ad altre attività discriminano tra cittadini in considerazione delle loro condizioni personali sanitarie.

· La discriminazione è vietata, inoltre, dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.

· La CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) vieta anch’essa la discriminazione all’art. 14: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.”

· Anche la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo vieta ogni discriminazione all’art. 2: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

· Pertanto, chiunque impedisca l’ingresso in un ristorante, una palestra, un cinema, una piscina a chi non sia provvisto del “green pass”, anche un agente di Polizia, mediante il regime sanzionatorio o, come vedremo in seguito, qualunque autorità nazionale che non dovesse riconoscere il primato del diritto internazionale su quello interno, sta commettendo il reato di violenza privata (art. 610 c.p.): “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.”

· Inoltre, in base all’art. 187 del RD 635/1940 (Regolamento di Esecuzione del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) gli esercenti e titolari di autorizzazioni di pubblica sicurezza non possono senza un legittimo motivo rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo. Le norme sul “green pass”, in quanto illegali e inapplicabili, non costituiscono legittimo motivo per il rifiuto delle prestazioni del gestore di un pubblico esercizio e quindi per contestare un illecito amministrativo a chi non le rispetta.

6. Secondo la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 4.12.2018 C-378/17 Minister for Justice and Equality:“È incompatibile con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto dell’Unione qualsiasi disposizione facente parte dell’ordinamento giuridico nazionale o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto dell’Unione per il fatto che sia negato al giudice, competente ad applicare questo diritto, il potere di fare, all’atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino alla piena efficacia delle norme direttamente applicabili dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 1978, Simmenthal, 106/77, EU:C:1978:49, punto 22; del 19 giugno 1990, Factortame e a., C‑213/89, EU:C:1990:257, punto 20, nonché dell’8 settembre 2010, Winner Wetten, C‑409/06, EU:C:2010:503, punto 56) .” Pertanto, i giudici e qualsiasi autorità, anche amministrativa, italiana sono tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con il diritto comunitario che prevale sul diritto nazionale.

7. Il divieto o gravi limitazioni (come il marchio verde) al diritto di lavorare imposto ad alcune categorie è altresì inapplicabile perché contrasta, come abbiamo visto, con altre norme di rango superiore alla legislazione ordinaria italiana direttamente applicabili da parte del Giudice. Occorre citare nuovamente, a tale proposito, anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000/C 364/01) il cui art. 21dispone:

Articolo 21 Non discriminazione

1. “E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.”

8. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è parte integrante del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) ed è direttamente vincolante senza necessità di provvedimenti interni attuativi come nel caso delle direttive. Pertanto, una disposizione interna che, in contrasto con il principio di libertà di lavoro e di impresa, introduca un divieto di lavorare è illegale in base al diritto dell’Unione Europea che prevale sul diritto nazionale.

Pertanto, il giudice civile e qualsiasi autorità, anche amministrativa, italiana e quindi anche questa a cui si sta ricorrendo sono tenuti semplicemente a disapplicare le norme interne incompatibili con il diritto comunitario che ha sempre prevalenza.


Дата добавления: 2022-11-11; просмотров: 17; Мы поможем в написании вашей работы!

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